La prima certezza, che mi divenne chiara, fu quella di non avere un'esistenza descrivibile, sicura e garantita, di non avere un "io" identificabile.
I confini delle mie sensazioni erano sempre sul punto di cambiare, svanire. Quando provavo sentimenti, emozioni, curiosità, o fastidio mi domandavo sempre da dove potessero arrivare. Non fingevo, esistevano, l'uno a fianco all'altro, colui che li provava e colui che li osservava. Che agissi, fremessi e restassi immobile: chi ero io?
Così sentivo fiumi di sentimenti, eppure non ero propriamente io a farlo. Era una mia parvenza. Ma era una parvenza anche l'osservatore distante. Osservava in me lo scorrere delle emozioni una coscienza che non ero io, anzi era nitidamente distinta da me, quale mi conoscevo e quale apparivo esternamente: non era né me, né in me, né fuori di me.
Quanto ai pensieri che mi affollavano la mente fino a che punto erano miei? Di dove provenivano?
Né io li prendevo mai del tutto sul serio.
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