mercoledì 2 dicembre 2020

"Il sogno" di John Donne

 

Per nessun altro, amore, avrei spezzato questo beato sogno.
Buon tema per la ragione, troppo forte per la fantasia.
Fosti saggia a svegliarmi.
E tuttavia tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera, che pensarti basta,
per fare veri i sogni e le favole storia.
Entra fra queste braccia.
Se ti parve meglio per me non sognar tutto il sogno,

ora viviamo il resto.

Come un lampo o un bagliore di candela,
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Pure, giacché tu ami il vero,
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando sapesti il sogno, quando sapesti
che la troppa gioia mi avrebbe destato,
e venisti, confesso che profano sarebbe stato
crederti qualcos’altro da te.

Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora il levarti mi fa 
dubitare
che tu non sia più tu.
Debole quell’amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso,
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce 
che debbono esser pronte
sono accese e poi rispente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per tornare.
Ed io sognerò nuovamente quella speranza,
ma per non morire.


John Donne (Londra, 1572 – Londra, 1631) 


Ascolta "Il Sogno" su Spreaker.

 

 

venerdì 13 novembre 2020

La ricerca della felicità è un film diseducativo

 


La ricerca della felicità (The Pursuit of Happyness) di Gabriele Muccino, è un film profondamente e imbarazzantemente DISEDUCATIVO. 

 

#SpoilerAlert !


La trama si sviluppa intorno alla storia di un padre di famiglia che lotta per la sopravvivenza e per un futuro per il figlio. Attraverso varie peripezie, il protagonista sembra scendere sempre più un basso, fino a non avere neanche più una casa.
L'uomo non si arrende ed è determinato a salvare se stesso e il figlio da una vita di accattonaggio. Infine miracolosamente riesce a trovare un insperato lavoro che lo porta in breve al benessere economico.


In pratica la morale finale del film è che:


1- La felicità consiste nell'avere milioni di dollari: il protagonista passa attraverso vari passaggi di umore e di situazioni di vita, che identifica via via con un'etichetta precisa, fino ad arrivare alla “felicità” che coincide col fatto di essere infine diventato ricco ...


2- Se sei determinato nel seguire il tuo sogno, il sogno si avvererà: convinzione che come abbiamo spiegato in questo post è una trappola mortale, dal momento che solo uno su un milione ce la fa, tutti gli altri (che hanno legato la propria felicità al raggiungimento del sogno) saranno infelici e frustrati …




 

giovedì 1 ottobre 2020

Etimologia mon amour 05

 

Disastro: tutti voi sapete cos'è un “astro”, e tutti sapete cos'è un “disastro”, ma forse non avete mai pensato al fatto che “disastro” si dice così perché è la negazione dell'astro, cioè della “buona stella”.

Così come c'è l'avventura e la disavventura, l'accordo e il disaccordo, l'agio e il disagio, c'è anche l'astro e il disastro.

Non c'avevate mai pensato, vero?

Il termine può indicare tanto l'evento nefasto, quando le sue conseguenze: ad esempio: “La grandine è un disastro naturale che provoca grandi disastri”.

E in entrambi i casi confondiamo la presunta causa (cioè il cattivo allineamento degli astri) con l'effetto.


Burrasca, tifone: dal veneziano “burasca” o “borasca”, in origine aggettivo, cioè “proprio della bora”, il ben noto vento settentrionale che tanti fastidi provoca a triestini e veneziani.

Burrasca è dunque propriamente un fenomeno derivato dalla bora, la quale “bora” non è altro che la forma veneta di bòrea, dal latino bòreas, nome del vento freddo dal nord, detto anche tramontana.

Tifone” invece è parola di origine cinese “T'ai fung” dove “fung” significa “vento” mentre “T'ai” è l'antico nome cinese dell'isola Formosa nell'Oceano Pacifico.

Formosa” è in realtà il nome dato all'isola dai portoghesi, oggi quell'isola è meglio nota come “Taiwan”.

Quindi il termine “tifone” significa “vento che arriva da Taiwan”.


Pantaloni: è sinonimo di “calzoni”, ma i puristi lo respingono perché deriva dal francese “pantalons”. In realtà il termine è francese quanto me, perché questa parola fu importata in Francia ... dall'Italia!

Ed è nient'altro che il nome della famosa maschera veneziana 'Pantalon dei Bisognosi'. La maschera di Pantalone è caratterizzata, tra le altre cose, dalle brache larghe e lunghe fino alle caviglie, e i Francesi, presso i quali la maschera veneziana ebbe grande successo, si misero a chiamare “pantalons” le brache stesse (siamo nel Seicento, quando i calzoni maschili erano attillatissimi e arrivavano fino al ginocchio). Poi noi, col solito vizio italiano di importare dall'estero anche quello che in realtà abbiamo inventato noi stessi, riprendemmo la parola francese “pantalons” italianizzandola in “pantaloni”. Et voilà! 


 

mercoledì 9 settembre 2020

Etimologia mon amour 04

 


Vignetta: la “vignetta” indica una figura, un disegno, che può essere decorativa, o esplicativa, o esser parte di una striscia di un album a fumetti.

Vignetta” però è il diminutivo di “vigna”. Vigna?

La cosa si spiega col fatto che gli stampatori del XVI secolo, e anche oltre, usavano decorare i loro libri all'inizio e in chiusura dei capitoli o sulla copertina stessa, con incisioni formate appunto da tralci di viti e grappoli d'uva; una “piccola vigna” appunto. Spesso queste “vignette” erano veri e propri capolavori di grafica.

A proposito di vignette, ormai da diversi anni c'è questa orrenda e deplorevole moda di usare fumetti celebri, spesso con personaggi di Peanuts o di altri cartoon più o meno famosi, mettendo loro in bocca frasi che in realtà non hanno mai detto, vere e proprie citazioni false …

Auspichiamo pene severe per questi malfattori!



Barba: dal tardo latino “barbas” che significa “zio” (anche Dante usa questo termine nel senso di “zio”, e ancora oggi viene usato con questa accezione in alcune regioni italiane), poi per analogia, così come lo zio è un prolungamento della famiglia, la parola venne ad indicare ciò che sporge, come i peli sulla faccia o i filamenti di una pianta o le frange della carta naturale. O i barbacani, strutture aggettanti delle case medievali, particolarmente comuni a Venezia.

Per estensione “barba” diventa simbolo di virilità: “onde non v'ha barba d'uomo che ti superi”. O di eccellenza: “un dottorone con tanto di barba”. Ma anche del saper stare al mondo: “stare in barba di gatto” cioè saper stare con tutti gli agi, come il gatto di fattoria.


Laconico: ”laconico” sta per conciso, di poche e asciutte parole. Deriva dal fatto che gli Spartani (che vivevano nella regione chiamata Laconia) erano noti per il parlare sentenzioso e telegrafico.
Una volta Filippo il Macedone (avversario quindi degli spartani) inviò loro un'ambasceria recante un minaccioso e ampolloso ultimatum, nel quale diceva: “Se entrerò in Laconia raderò al suolo Sparta, non ne lascerò pietra su pietra” e bla bla …
Gli Spartani risposero con un semplice e laconico messaggio: “Se”.


 

lunedì 10 agosto 2020

Ipazia d'Alessandria - Martire della libertà di pensiero

 

 

Nel 415 DC., ad Alessandria d'Egitto, ci fu uno scontro tra il vescovo e il governatore della città.

Iniziò da un disaccordo sul comportamento di una milizia di monaci e finì con un'accusa di stregoneria mossa contro una delle figure più influenti della città, Ipazia.

Ipazia d'Alessandria era un'illustre matematica, filosofa e consigliera.

Nei secoli successivi alla sua morte, i dettagli sulla sua vita sono stati al centro di molti dibattiti, fino a diventare quasi mitici.

Purtroppo nessuno scritto di Ipazia è giunto fino a noi, ma i racconti dei contemporanei e dei suoi studenti, sul suo lavoro e la sua vita, descrivono le qualità che l'hanno resa una studiosa celebre e un'insegnante amata e che infine l'hanno portata alla rovina.

Ipazia nacque intorno al 355 DC. ad Alessandria, allora capitale della provincia egiziana dell'Impero romano d'Oriente e vivace centro intellettuale.

Suo padre, Teone, era un abile matematico e astronomo greco, mentre non si sa nulla di sua madre. Probabilmente Ipazia era figlia unica e venne istruita da Teone stesso.

Raggiunta l'età adulta, superò il padre sia in matematica che in filosofia, diventando la più importante studiosa della città e prendendone il posto a capo della scuola platonica, simile a un'università moderna.

Perfezionò strumenti scientifici, scrisse manuali di matematica e sviluppò un metodo più efficiente per le divisioni complesse.

Ma forse il suo contributo più rilevante alla vita intellettuale di Alessandria giunse dalle sue lezioni.

La filosofia che Ipazia insegnava era tratta dall'eredità di Platone e Aristotele, oltre che da quella del filosofo mistico Plotino e del matematico Pitagora.

Queste influenze si fusero a formare una scuola chiamata Neoplatonismo.

Per i neoplatonici, la matematica aveva un aspetto spirituale, ripartito tra le sue quattro branche: aritmetica, geometria, astronomia e musica.

Queste materie non venivano studiate semplicemente per pura curiosità o per utilità pratica, ma perché avvaloravano la convinzione che i numeri fossero il linguaggio dell'universo.

Negli schemi ricorrenti delle formule algebriche, delle forme geometriche, delle orbite dei pianeti e degli intervalli armonici dei toni musicali, i neoplatonici vedevano l'opera di una forza cosmica razionale.

Benché Ipazia fosse considerata pagana, termine allora indicante la religione romana tradizionale prima del cristianesimo, ella in realtà non venerava nessuna divinità in particolare, e le sue idee potevano essere applicate a molteplici punti di vista religiosi.

Studenti ebrei, cristiani e pagani venivano dai luoghi più remoti dell'Impero per studiare con lei.

L'ambiente neutrale che Ipazia promuoveva, dove tutti gli studenti potevano sentirsi a proprio agio, era particolarmente straordinario visti i tumulti politici e religiosi che turbavano la città di Alessandria a quel tempo.

Il cristianesimo era diventato da poco religione dell'Impero e l'arcivescovo della città, Cirillo, che aveva guadagnato sempre più potere politico, ordinò a zelanti milizie di monaci cristiani di distruggere i templi pagani e perseguitare la popolazione ebraica.

Così facendo, sconfinò nell'autorità secolare del governatore romano Oreste, un cristiano moderato, dando il via a un'aspra opposizione pubblica tra i due uomini.

Dato che Ipazia era considerata una figura saggia e imparziale, il governatore Oreste consultò la studiosa, che gli consigliò di agire con equità e moderazione.

Ma quando un gruppo di monaci di Cirillo incitò alla rivolta, ferendo gravemente Oreste, Oreste fece torturare a morte il loro capo.

Cirillo e i suoi seguaci incolparono Ipazia accusandola di stregoneria per aver fatto rivoltare Oreste contro il cristianesimo.

Nel marzo del 415, mentre Ipazia stava percorrendo le vie cittadine, la milizia di monaci del vescovo la trascinò fuori dalla sua carrozza e la uccise brutalmente, facendola a pezzi.

La morte di Ipazia rappresentò una svolta decisiva per la politica di Alessandria.

Dopo il suo assassinio, altri filosofi della tradizione greca e romana fuggirono, e la città cominciò a perdere il suo ruolo di centro culturale.

In pratica, lo spirito di indagine, apertura ed equità che aveva promosso morì con lei. 

 

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(Libera traduzione dal video TED-ED dedicato ad Ipazia d'Alessandria)

 

lunedì 3 agosto 2020

Etimologia mon amour 02


Avere fegato: presso gli Etruschi il fegato era considerato sede di ogni sentimento e qualità interiore. Per gli antichi Greci era sede della caparbietà, della forza fisica e dell'amore sensuale.
Prima di sorriderne riflettete sul fatto che noi oggi continuiamo ad assegnare la sede dei nostri sentimenti al cuore, contro ogni evidenza scientifica ...
Tornando al fegato, dal suo esame gli indovini etruschi traevano previsioni, tale arte era detta “aruspicina” (da
ar che significa fegato e spicio che significa guardare). Gli aruspici predicevano il destino studiando il fegato degli animali sacrificati, comparandolo con un modello bronzeo (famoso è il fegato di Piacenza, modello riportante le ripartizioni degli dèi) per osservare quale divinità aveva mandato quel segno, per poi cercare di carpirne il significato.

Il termine “fegato” deriva dal latino “iècur ficatum” che stava per “fegato di animale ingrassato con i fichi”, molto apprezzato dai buongustai di allora. Poi cadde il sostantivo iècur e rimase solo il participio ficatum, poi trasformato nell'italiano fegato, senza più alcun riferimento ai fichi ma usato eventualmente nel senso etrusco come sede di sentimenti e di coraggio!

Come non ricordare il mito di Prometeo che coraggiosamente rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Zeus lo condannò a essere incatenato per l'eternità a una roccia, e dispose che ogni giorno un'aquila gli divorasse il fegato. Ogni notte però il suo fegato ricresceva, così che l'aquila potesse tornare a divorarlo il giorno seguente. Nel mito è presente un fondo di verità: il fegato è infatti il solo organo del corpo umano capace di una rigenerazione quasi totale.



Barella: non so se ci avete mai pensato ma “barella” significa letteralmente “piccola bara”... già … la barella però, come sappiamo, serve anche a trasportare chi si sia semplicemente slogato una caviglia, questo perché in realtà già la parola “bara” implica in sé il concetto di trasporto, “bara” infatti è una parola longobarda che significava appunto “lettiga”, “trasportino”, dalla radice indo-europea “bhar” traducibile col verbo “portare”.

Curioso a tal proposito era il “Giudizio della bara” : era una pratica in uso nel medioevo (ma di cui si ha notizia ancora fino all'Ottocento) per scoprire l’autore di un omicidio: il cadavere dell’ucciso veniva esposto in luogo pubblico, e lo si faceva toccare da tutti coloro sui quali ricadevano dei sospetti, nella convinzione che al tocco della mano dell’omicida le ferite dell’ucciso tornassero a gettare sangue!

Ecco spiegato perché non trovavano mai il vero colpevole ...



Scuola: un ètimo che i professori e gli studenti faticano a digerire, deriva infatti dal greco “skolè” che significa “ozio”, “riposo”. Perché per gli antichi greci le occupazioni intellettuali erano considerate proprie di chi ... non aveva nient'altro da fare.
Anche per i latini il significato era simile, ad esempio negli stabilimenti termali lo spazio attorno alla vasca si chiamava “schola labri” (dove “labrum” sta per “vasca”), per indicare un posto dove si stava seduti a far niente.

Milioni di scolari si troveranno perfettamente d'accordo con questa definizione!





venerdì 31 luglio 2020

La vera storia di Davide e Golia


Desidero raccontarvi una storia che mi ha particolarmente colpito, è una storia accaduta 3000 anni fa, quando il Regno di Israele era agli inizi.

Si svolge in una zona chiamata Shephelah che oggi si trova in Israele.

La ragione per cui questa storia è interessante è che credevo di averla capita, e poi ci sono ritornato sopra e ho realizzato che non l'avevo capita.


L'antica Palestina aveva, lungo il suo confine orientale, una catena montuosa. E lungo quella catena montuosa ci sono tutte le antiche città di quella regione, cioè Gerusalemme, Betlemme, Hebron ...

E poi c'è una pianura costiera lungo il Mediterraneo, dove oggi si trova Tel Aviv.

La zona chiamata Shephelah collega la catena montuosa alla pianura costiera, ed è fondamentalmente una serie di valli e di creste che si sviluppano da est a ovest.

Lo Shephelah è una regione molto bella, con boschi di quercia e vigneti.

Ma quello che ci interessa, per la nostra storia, è che quella zona ha avuto una funzione strategica importante, in quanto era il percorso obbligato con cui gli eserciti nemici percorrevano la pianura costiera, per raggiungere le montagne e minacciare il popolo ebraico.

3.000 anni fa è accaduto esattamente questo.

I Filistei, che sono il più grande nemico del Regno di Israele, vivono nella pianura costiera. E iniziano a farsi strada attraverso una delle valli dello Shephelah, perché vogliono occupare l'area degli altipiani proprio vicino a Betlemme e dividere in due il Regno di Israele.

E il Regno di Israele, che è guidato dal re Saul, viene a conoscenza di questo piano, e Saul fa scendere il suo esercito dalle montagne e si confronta con i Filistei nella valle di Elah,

Gli Israeliti si posizionano lungo la cresta settentrionale, e i Filistei lungo il costone meridionale; e i due eserciti stanno fermi lì per settimane, uno di fronte all'altro, perché sono in stallo.

Nessuno può attaccare l'altro, perché per attaccare si deve scendere per la montagna giù nella valle e poi risalire su per l'altro lato, e nel farlo si è completamente esposti.

Così infine, per sbloccare lo stallo, i Filistei inviano il loro guerriero più potente giù nella valle; e lui grida e dice agli Israeliti:

"Inviate quaggiù il vostro guerriero più potente, risolveremo lo scontro solo noi due."

Era un modo di fare tradizionale nella guerra antica.

Era un modo di risolve le controversie senza incorrere nello spargimento di sangue di una grande battaglia.

E il Filisteo che viene inviato a valle, il loro più potente guerriero, è un gigante. È alto quasi due metri (all'epoca l'altezza media era un metro e 50). Ed è equipaggiato dalla testa ai piedi, ha una scintillante armatura di bronzo, ha una spada, un giavellotto e una lancia.

È assolutamente terrificante.

Ed è così terrificante che nessuno dei soldati Israeliti vuole combattere contro di lui.

È morte certa, capite? Non c'è apparentemente nessun modo per batterlo.

Ad un certo punto si presenta un giovane pastore, va da Saul e gli dice: "Mi batterò io contro di lui."

E Saul dice: "Non puoi duellare con lui. È ridicolo. Sei solo un ragazzo. Quello è un potente e gigantesco guerriero".

Ma il pastore è irremovibile. Dice: "No, no, non capisci, ho difeso il mio gregge contro leoni e lupi per anni. Credo di potercela fare."

E Saul non ha scelta. Nessun altro si è fatto avanti.

Così, dice: "E va bene" si gira verso il ragazzo, e gli dice:

Però devi indossare questa armatura. Non puoi affrontarlo così come sei."

Così cerca di dare al pastore la propria armatura, ma il pastore dice: "No, non posso indossare questa roba".

Il versetto biblico dice: "Io non posso indossarla perché non l'ho provata"

che vuol dire: "Non ho mai indossato armature prima. Non ha senso farlo adesso".

Così il pastore si piega sul terreno e raccoglie delle pietre e le mette nella sua borsa, e inizia a camminare giù per la montagna per affrontare il gigante.

Il gigante vede questa figura che si avvicina, e grida: "Vieni, vieni da me, così potrò nutrire con la tua carne gli uccelli del cielo e le bestie del campo".

Il pastore si fa sempre più vicino, e il gigante vede che non ha armi, non ha un'armatura, si sente insultato e grida:

"Sono forse un cane, perché tu venga da me con dei bastoni?"

Il pastorello non risponde, quando è sufficientemente vicino prende una delle sue pietre dalla tasca, la mette nella sua fionda, la fa roteare, e la lancia.

E colpisce il gigante proprio in mezzo agli occhi ... proprio nel punto più vulnerabile ... e il gigante cade, non si sa se morto o incosciente, e il pastorello corre, gli prende la spada e gli taglia la testa.

I Filistei che hanno seguito il duello dall'alto del costone, esterrefatti, si girano e scappano.

Naturalmente il nome del gigante è Golia, e il nome del giovane pastore è Davide.

E la ragione per cui valeva la pena ri-raccontarla, è che ho realizzato che tutto quello che pensavo di sapere su Davide e Golia era sbagliato.

Davide, in quella storia, dovrebbe essere lo sfavorito, giusto?

L'abbiamo sempre visto così.

In effetti, quel binomio, Davide e Golia, è entrato nel nostro linguaggio come metafora per improbabili vittorie da parte di un debole su qualcuno che è molto più forte.

Ora, perché chiamiamo Davide sfavorito?

Beh, noi lo consideriamo in svantaggio perché è un ragazzino, mentre Golia è un soldato grande e forte.

Lo consideriamo svantaggiato perché Golia è un guerriero esperto, mentre Davide è solo un pastore.

Ma sopratutto lo consideriamo svantaggiato perché mentre Golia è provvisto di tutto questo equipaggiamento militare, la pesante armatura, la spada e il giavellotto, tutto ciò che ha Davide è una fionda.

Bene, cominciamo con la frase "Tutto ciò che Davide ha, è una fionda"

perché questo è il primo errore che facciamo.

Allora, nella guerra antica, c'erano tre tipi di guerrieri.

C'era la cavalleria, quindi uomini a cavallo e con carri.

C'era la fanteria pesante, cioè i soldati a piedi, fanti armati con spade e scudi e l'armatura.

E poi c'era l'artiglieria, ovvero gli arcieri e i frombolieri.

Cos'è un fromboliere? Un fromboliere è un soldato che ha una custodia di pelle con due corde lunghe collegate ad essa. Il fromboliere mette un proiettile, un sasso o una palla di piombo, all'interno della custodia, lo fa vorticare velocemente e poi lascia andare una delle corde, e l'effetto è come lanciare un proiettile con una balestra.

Questo è ciò che Davide ha, ed è importante capire che quello che ha, non è una semplice fionda. Non è un gioco per bambini. In realtà è un'arma devastante.

Quando Davide la fa roteare in quel modo, sta facendo girare la frombola probabilmente a sei o sette giri al secondo, e questo significa che quando il sasso viene rilasciato, ha una velocità di circa 30-35 metri al secondo.

Inoltre, le pietre nella valle di Elah non erano comuni rocce. Erano di solfato di bario, rocce che hanno due volte la densità delle pietre normali.

Facendo i dovuti calcoli balistici, la potenza di impatto della roccia lanciata da una frombola, è approssimativamente uguale a quella

di una pistola calibro 45.

Capite bene che la frombola è un'arma devastante.

Sappiamo da documenti storici che i frombolieri con esperienza potevano colpire e mutilare o addirittura uccidere un uomo fino a 200 metri di distanza.

Da arazzi medievali sappiamo che i frombolieri erano in grado di colpire uccelli in volo senza difficoltà. Erano incredibilmente accurati.

Quando Davide affronta Golia, è ad una distanza ben inferiore a 200 metri.

Quando Davide mira e lancia il sasso contro Golia, ha la precisa intenzione, e la quasi certezza di colpire Golia nel suo punto più vulnerabile, ovvero in mezzo agli occhi.

Se ripercorrete la storia della guerra antica, troverete di volta in volta

che i frombolieri erano spesso il fattore decisivo contro la fanteria in battaglia.

Allora, che cosa è Golia? è la fanteria pesante, e la sua aspettativa quando sfida gli Israeliti a duello è che egli stia per combattere un altro fante.

Quando dice: "Vieni da me così che io possa nutrire della tua carne gli uccelli del cielo e le bestie del campo" la frase chiave è "Vieni da me".

Vieni da me, perché dobbiamo combattere, qui, corpo a corpo.

Ma Davide non ha assolutamente quella aspettativa, non vuole combattere contro Golia in quel modo. Perché dovrebbe? Lui è un pastore.

Ha trascorso tutta la sua vita utilizzando una frombola per difendere il suo gregge contro leoni e lupi.

Così eccolo, questo pastore, esperto nell'uso di un'arma devastante,

contro questo gigante appesantito da una cinquantina di chili di armatura

e queste armi incredibilmente pesanti che sono utili solo nel combattimento a corto raggio.

Golia è un facile bersaglio. Non ha alcuna possibilità.

Allora perché continuiamo a definire Davide lo sfavorito?

Perché continuiamo a ritenere la sua vittoria improbabile?

Ma non è finita, c'è ancora un altro elemento importante.

Non è solo che noi fraintendiamo Davide e la sua arma.

Noi fraintendiamo anche Golia.

Golia non è quello che sembra essere.

Ci sono alcuni passaggi nel testo biblico, che sono abbastanza sconcertanti, e che non quadrano con l'immagine di un potente guerriero.

Per cominciare la Bibbia dice che Golia è condotto sul fondovalle da un attendente. Beh, una cosa piuttosto strana, no?

Perché questo potente guerriero deve essere guidato da qualcun altro sul luogo di combattimento?

E poi c'è quest'altra cosa davvero strana su quanto tempo impiega Golia a reagire alla vista di Davide.

Davide sta scendendo dalla montagna, e chiaramente non si sta preparando per un combattimento corpo a corpo. Non c'è nulla in lui che dica: "Sto per combattere contro di te corpo a corpo". Non ha nemmeno una spada!

Perché Golia non reagisce a questa evidenza?

È come se egli fosse ignaro di quello che sta succedendo.

E poi c'è quel commento curioso che fa a Davide:

"Sono forse un cane che devi venire da me con dei bastoni?"

Bastoni? Davide non ha bastoni, ha solo una fionda.

Beh insomma si scopre che c'è stato un grande turbinio di ipotesi all'interno della comunità medica sul fatto che ci sia qualcosa di sbagliato su Golia, un tentativo di dare un senso a tutte queste anomalie.

Sono stati scritti molti articoli. Il primo fu pubblicato nel 1960 su una rivista medica, ed ha avviato una serie di congetture che iniziano con una spiegazione sull'altezza di Golia.

Golia supera in altezza tutti i suoi coetanei dell'epoca di circa mezzo metro, e di solito quando qualcuno è fuori dalla norma, c'è una spiegazione.

La più comune forma di gigantismo è una condizione chiamata acromegalia, l'acromegalia è causata da un tumore benigno sulla ghiandola pituitaria che provoca una sovrapproduzione dell'ormone della crescita.

Nel corso della storia, molti dei più famosi giganti hanno avuto l'acromegalia. La persona più alta di tutti i tempi è stato un ragazzo di nome Robert Wadlow, che stava ancora crescendo quando morì all'età di 24 anni. Era alto 2,70 metri. Soffriva di acromegalia.

Si ipotizza anche che Abraham Lincoln soffrisse di acromegalia.

In generale per chi è insolitamente alto, la prima spiegazione che viene data è che sia affetto da acromegalia.

E l'acromegalia ha una serie precisa di effetti collaterali, principalmente inerenti la vista.

Il tumore pituitario, crescendo, spesso inizia a comprimere i nervi visivi del cervello, con il risultato che le persone con acromegalia hanno o una visione doppia o sono fortemente miopi.

Così, quando hanno iniziato a speculare su quello che avrebbe potuto essere sbagliato in Golia, si sono detti: "aspetta un attimo, sembra proprio che Golia assomigli a qualcuno che soffra di acromegalia".

E questo fornirebbe una spiegazione del suo strano comportamento quel giorno.

Perché si muove così lentamente e deve essere scortato giù nel fondovalle

da un attendente? Perché non può farsi strada da solo, non vede bene.

Perché non si accorge che Davide non sta andando a combattere contro di lui fino all'ultimo momento? Perché Golia non riesce a vederlo chiaramente.

Quando dice: "Vieni da me” è un accenno della sua miopia.

Vieni da me, perché io non riesco a vederti.

E poi: "Sono forse un cane che devi venire a me con dei bastoni?"

Egli vede dei bastoni quando Davide ha una fionda.


Così gli Israeliti lassù sul crinale quando lo vedono pensano che sia

un nemico straordinariamente potente.

Quello che non comprendono è che la fonte della sua forza apparente era anche la fonte della sua più grande debolezza.

Ecco quindi che la storia si ribalta, completamente, è Golia lo sfavorito! Non c'è storia, Davide era nettamente il più forte, non poteva che vincere.


Ecco, forse dovremmo rivedere i nostri concetti di sfavorito e perdente.

Perché non sempre un gigante è potente, e a volte il pastorello ha un sasso in tasca.

(Libera traduzione dal libro "David and Goliath" di Malcolm Gladwell)

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giovedì 23 luglio 2020

Etimologia mon amour 01


Ròbot 
Robot deriva dal termine slavo “robota” che significa “lavoro”;
era il nome degli uomini artificiali ideati dal commediografo ceco Karel Čapek nel dramma utopico R.U.R. del 1920.
In seguito il termine robot prese ad indicare soprattutto organismi meccanici, mentre i robot di Čapek erano in realtà "replicanti", cioè umanoidi organici prodotti da quella che in seguito si sarebbe definita ingegneria genetica.
Nell'opera di Čapek i robot vengono costruiti in una fabbrica ubicata su un'isola sperduta in mezzo all'oceano. L'intento era di liberare l'umanità dalla schiavitù della fatica fisica. Ma gli effetti sono catastrofici, l'umanità reagisce male, affonda nel vizio e nell'indolenza, e le nascite iniziano a calare in modo preoccupante. Dopodiché i robot, ormai diffusi in tutto il mondo, iniziano a ribellarsi ai loro creatori e a sterminarli.
Vi ricorda qualcosa?
L'opera fu messa in scena al Teatro nazionale di Praga il 25 gennaio del 1921.



Pomo della discordia 
Secondo il mito, tutti gli dei erano stati invitati alle nozze di Peleo con Teti, eccetto Eris, la dea della discordia (e te credo, chi mai inviterebbe la dea della discordia ad una festa?), ma la dea della discordia non la prese bene e per vendicarsi fece portare sulla tavola del banchetto una mela (un pomo) d'oro, con l'iscrizione “alla più bella”.
Giunone, Minerva e Venere accamparono ciascuna le proprie pretese al dono per la più bella (in realtà anche alcuni maschietti, tipo Ganimède e compagni, avrebbero voluto partecipare, ma Giove tagliò corto, dicendo che non era ancora tempo di gay pride).
Si decise così di affidare il giudizio a Paride (mai decisione fu più difficile nella storia). Dopo lunga riflessione Paride proclamò “miss Olimpo” Venere (perché in segreto gli aveva promesso l'amore di Elena). Primo caso quindi di corruzione nel primo concorso di bellezza che si ricordi.
Ma ovviamente la sua decisione generò l'odio delle dee sconfitte, soprattutto di Minerva, che in seguito provocò la caduta di Troia, patria di Paride, menagramo della leggenda omerica.



Sincero
Fin dai tempi di Michelangelo, gli scultori avevano l'abitudine di nascondere i difetti delle loro opere colando cera fusa nelle fessure, per poi coprirla con polvere di marmo.
Il metodo era però considerato un inganno e, quindi, qualunque scultura ‘sine cera (senza cera) era considerata un'opera d'arte perfetta, pura, autentica.
Questa espressione latina “sine cera” coniò, successivamente, il termine ‘sincero’.
Ancora oggi, a volte, firmiamo le lettere con ‘sinceramente’ per assicurare all'altra persona che il contenuto del messaggio sia vero, schietto, non contraffatto, appunto ‘sine cera’.

A tal proposito ho trovato in rete una riflessione su questa parola che ho trovato semplicemente bellissima. Purtroppo non so chi sia l'autrice perché si firma solo “Manuela G.”

Ho pensato a quanto impegno mettiamo, ogni giorno, nel riempirci di cera davanti a chi amiamo, per la paura che, sfregiati, non saremmo amati per quelli che siamo davvero.
Quante volte restiamo lì, a fissare il soffitto, a guardare fuori dal finestrino di un autobus, un panorama, un tramonto, con un solo, unico pensiero: «C’è qualcuno disposto a stringere queste mie mani, i suoi graffi, la pelle ruvida, ‘sine cera’?».
Perché forse è questo il nostro desiderio più profondo. Trovare un “tu” davanti a cui, con pudico tremore, scoprire le nostre crepe.

( manuela g. )


giovedì 14 maggio 2020

Energia emotiva


Quando Holden aveva nove anni, Rufus, il labrador di famiglia, era morto. Alla nascita di Holden era già un cane adulto per cui lui aveva sempre conosciuto Rufus soltanto per quella grossa palla di pelo nero e di amore che era. Aveva mosso i primi passi tenendo stretta la pelliccia del cane in uno dei suoi pugnetti. Aveva amato quel cane con la semplice intensità che soltanto i bambini e i cani possono condividere.
Quando però Holden aveva nove anni, Rufus ne aveva quindici. Era vecchio per un cane di quella stazza. Aveva smesso di correre insieme a Holden, riusciva a malapena ad accennare un trotto per raggiungerlo, poi, poco a poco, soltanto un passo lento. Aveva smesso di mangiare. E una sera si era accasciato su un fianco accanto a un calorifero e aveva cominciato ad ansimare. Mamma Elise aveva detto a Holden che forse Rufus non avrebbe superato la notte.
Holden aveva giurato in lacrime di restare accanto al suo cane. Le prime due ore aveva tenuto la testa di Rufus in grembo e aveva continuato a piangere, mentre Rufus faticava a respirare e di tanto in tanto sbatteva debolmente la coda.
Giunto alla terza ora, contro la propria volontà e qualsiasi buon proposito avesse avuto, Holden si era annoiato.
Fu una lezione che non si sarebbe mai dimenticato.
Gli esseri umani hanno una quantità limitata di energia emotiva. Per quanto intensa posso essere la situazione, o per quanto forti siano i sentimenti, era impossibile mantenere uno stato di enfasi emotiva per sempre. Alla fine ti stancavi, e volevi solo che finisse.

(J.S.A. Corey)


giovedì 7 maggio 2020

La solitudine di Dio




Immaginiamo di misurare la storia della Terra in proporzione ad un anno solare.
Cominciamo ponendo la formazione della Terra al 1 gennaio, corrispondente a 4 miliardi e mezzo di anni fa. Il 9 luglio, dunque parecchi mesi dopo, si formano l'ossigeno e l'atmosfera: siamo a 2 miliardi e 200 milioni di anni fa. Arriviamo al 29 novembre, corrispondente a 400 milioni di anni fa; in quella data cominciamo vedere le prime piante e i primi animali. Dobbiamo arrivare al 13 dicembre per vedere nascere i primi dinosauri, 230 milioni di anni fa. Provate a pensare che di solito quando arriva il 13 dicembre per noi l'anno e ormai quasi finito e siamo già in ritardo per il regali di Natale, in questo nostro calcolo invece ci aspetta ancora una strada piuttosto interessante da percorrere. Il 27 dicembre, solo quattro giorni prima della fine dell'anno, si estinguono i dinosauri, e ci troviamo così a 65 milioni di anni fa. In quel periodo la terra non era quella che conosciamo oggi, i continenti erano ancora uniti in un'unica grande massa chiamata Pangea. Il 28 dicembre, cerca 30 milioni di anni dopo la scomparsa del dinosauri, ha inizio il movimento della crosta terrestre. Arriviamo all'homo sapiens che fa la sua comparsa circa 35.000 anni fa, nel nostro ipotetico anno siamo arrivati alle 23:56 e 15 secondi del 31 dicembre, mancano meno di 4 minuti alla mezzanotte e l'uomo è ancora poco più di una scimmia. Alle 23:57 e 43 secondi ha inizio l'era glaciale: stiamo parlando di 20.000 anni fa. A poco più di un minuto alla mezzanotte, cioè a le 23:58 e 42 secondi, finisce l'era glaciale, ci troviamo a 12.500 anni fa, cioè 10.500 anni prima di Cristo. Mancano solo 34 secondi alla mezzanotte quando nel 2975 a.C. fa la sua comparsa il primo faraone in Egitto. Alle 23:59 e 55 secondi Dante sta scrivendo la Divina Commedia. Alle 23:59 e 59 secondi il cosmonauta russo Yurij Gagarin affronta lo spazio. Quindi in questo anno idealmente compresso, tutto la nostra civiltà evoluta, legata all'elettronica, allo spazio e le tecnologie più avanzate occupa appena 26 centesimi di secondo. Un battito di ciglia quasi impercettibile in un anno.
Il paragone acquista ancora maggior consistenza se si pensa che la terra ha circa 5 miliardi di anni mentre l'universo ne ha almeno 14-15 miliardi.
Allora, se l'uomo e stato creato per servire e amare Dio, ci dobbiamo necessariamente chiedere:
  • Cosa sono pochi centesimi di secondo di amore e servizio rispetto a quella quantità incredibile di tempo in cui Dio non ero servito e amato da nessuno?
  • A che pro tanto spreco di tempo e di spazio?
  • Perché non creare la vita fin da subito?
  • Perché miliardi di anni di vuoto cosmico, di silenzio, di assenza di ogni forma di dialogo, di preghiere e di offerte per avere un battito di ciglia di amore e dedizione?
  • Che ne sarà di quell'amore e di quella dedizione a Dio quando l'uomo cesserà di esistere come hanno fatto prima di lui altre milioni di specie viventi? Dio rimarrà nuovamente solo nel silenzio degli spazi siderali freddi e vuoti?
  • Dio ha improvvisamente sofferto di solitudine, dopo 15 miliardi di anni?

(M. Biglino)