mercoledì 21 maggio 2014

I libri gialli, i francesi e gli atteggiamenti minoritari

Più o meno tutti abbiamo letto almeno un libro giallo (accezione esclusivamente italiana [per saperne la ragione, leggi qui]). C'è chi ne è particolarmente appassionato. Costoro hanno sviluppato un certo gusto per gli indizi e i collegamenti induttivi. Ma anche il lettore monomaniaco di libri gialli può avere un gusto di indizi e di collegamenti induttivi più orientato al piacere della sorpresa e dello stupore che al piacere dell'indagine e della scoperta.
Esemplare da questo punto di vista è un episodio che riguarda un famoso romanzo di Agatha Christie.
Con terminologia presa dagli indovinelli e dai giochi enigmistici, si può distinguere tra "esposizione" e "soluzione" in un romanzo giallo. Ma anche in un romanzo giallo di scuola inglese tradizionale non sembra dimostrato che tutti i lettori tendano a scoprire la "soluzione", sembra piuttosto che si affidino al flusso narrativo, lutulento, dell'"esposizione".
Quel romanzo di Agatha Christie che noi conosciamo in Italia sotto il titolo di "E poi non rimase nessuno", pubblicato nel 1939 in Gran Bretagna col titolo "Ten little niggers" ("Ten little indians" in USA...), fu tradotto in francese nel 1947. Nell'ultima pagina, dove si spiega tutto il trucco, il traduttore francese (o il tipografo francese) saltò un paio di righe. Quel salto fa sì che la "soluzione" rimanga assolutamente incomprensibile. Ebbene, dal 1947 la lacuna è rimasta fino al 1981 (!), in decine di edizioni, in centinaia di migliaia di copie. 
Come mai fra milioni di lettori francofoni non ce n'è stato uno che se ne sia accorto?
Forse chi legge romanzi gialli è un generico lettore di romanzi, e del meccanismo "giallo" non si cura.  Se così fosse, la "lettura attiva" di cui parlano alcuni, resterebbe un'ipotesi, o un atteggiamento fortemente minoritario.
Fortemente minoritario, sembra essere il gusto di capire certe cose...


giovedì 8 maggio 2014

La travagliata conquista di un fiore

A Firenze, tra il 1286 e il 1287, il ventunenne Durante Alighieri (meglio noto come "Dante") scrive un poemetto in 232 sonetti, tradizionalmente intitolato Il Fiore.
Per "fiore" qui si intende l'organo sessuale femminile.
Il poemetto racconta la travagliata conquista di un "fiore", e approda negli ultimi sonetti a un coito forsennato.

Il Fiore non è un'opera originale, bensì il divertito goliardico, svelto riassunto e rimaneggiamento di un romanzo pubblicato in Francia nel 1280: Le Roman de la rose, scritto in lingua d'oil. La storia del Roman de la rose è complicata, nella prima parte può collegarsi alle sottigliezze d'amor cortese dei trovatori provenzali, nella seconda è tutto intrecciato di questioni filosofiche e teologiche. Il Fiore sorvola sulle questioni filosofiche e teologiche ma aggiunge precise denunce politiche delle angherie commesse dai "borghesi sopra li cavalieri"...
Tutto il libro, a parte le polemiche politiche, è francamente osceno, e alcuni punti toccano il gusto della bestemmia. I frequentissimi, turbinosi, brutali francesismi sono da intendere come un'orgia, un oltranzismo di meticciato, di creolo franco-toscano da paragonare col franco-veneto fiorente nel Duecento nell'Italia settentrionale. Con la differenza che il franco-veneto vegeta e striscia nel regno del comico involontario, mentre il franco-toscano del Fiore corre, salta e caprioleggia nel regno del comico volontario.

Alcune anime candide  perdurano nell'aver dubbi sul fatto che il Fiore abbia potuto esser scritto da Dante Alighieri, considerando un sacrilegio questa indegna attribuzione, tenuta nascosta per sette secoli, negata con insolenza belluina.
Capite? Può essere duro immaginare che uno stesso giovanotto abbia scritto, schizofrenicamente, Il FIore e la Vita Nova.
Se "schizofrenicamente" vi sembra avverbio di intollerabile psicologismo, potete cercar di dire la stessa cosa in termini di critica letteraria: "perenne e contraddittoria sperimentalità".
Noi qui confidenzialmente teniamo per buono quel che dicono non da ieri gli studiosi più autorevoli: Il Fiore è di Dante Alighieri. Ma ufficialmente questa affermazione è stata consacrata nell'edizione nazionale delle Opere di Dante Alighieri a cura della società dantesca italiana solo nel 1984.

Se tu, lettore, sei uno studente con una vita organizzata in modo da dover sottostare a interrogazioni e esami, stai attento: se dici come se niente fosse che Il Fiore è di Dante puoi trovare qualcuno che ti sgrida, che ti dà un brutto voto, che ti boccia.





(fonte: G. Dossena)