lunedì 10 agosto 2020

Ipazia d'Alessandria - Martire della libertà di pensiero

 

 

Nel 415 DC., ad Alessandria d'Egitto, ci fu uno scontro tra il vescovo e il governatore della città.

Iniziò da un disaccordo sul comportamento di una milizia di monaci e finì con un'accusa di stregoneria mossa contro una delle figure più influenti della città, Ipazia.

Ipazia d'Alessandria era un'illustre matematica, filosofa e consigliera.

Nei secoli successivi alla sua morte, i dettagli sulla sua vita sono stati al centro di molti dibattiti, fino a diventare quasi mitici.

Purtroppo nessuno scritto di Ipazia è giunto fino a noi, ma i racconti dei contemporanei e dei suoi studenti, sul suo lavoro e la sua vita, descrivono le qualità che l'hanno resa una studiosa celebre e un'insegnante amata e che infine l'hanno portata alla rovina.

Ipazia nacque intorno al 355 DC. ad Alessandria, allora capitale della provincia egiziana dell'Impero romano d'Oriente e vivace centro intellettuale.

Suo padre, Teone, era un abile matematico e astronomo greco, mentre non si sa nulla di sua madre. Probabilmente Ipazia era figlia unica e venne istruita da Teone stesso.

Raggiunta l'età adulta, superò il padre sia in matematica che in filosofia, diventando la più importante studiosa della città e prendendone il posto a capo della scuola platonica, simile a un'università moderna.

Perfezionò strumenti scientifici, scrisse manuali di matematica e sviluppò un metodo più efficiente per le divisioni complesse.

Ma forse il suo contributo più rilevante alla vita intellettuale di Alessandria giunse dalle sue lezioni.

La filosofia che Ipazia insegnava era tratta dall'eredità di Platone e Aristotele, oltre che da quella del filosofo mistico Plotino e del matematico Pitagora.

Queste influenze si fusero a formare una scuola chiamata Neoplatonismo.

Per i neoplatonici, la matematica aveva un aspetto spirituale, ripartito tra le sue quattro branche: aritmetica, geometria, astronomia e musica.

Queste materie non venivano studiate semplicemente per pura curiosità o per utilità pratica, ma perché avvaloravano la convinzione che i numeri fossero il linguaggio dell'universo.

Negli schemi ricorrenti delle formule algebriche, delle forme geometriche, delle orbite dei pianeti e degli intervalli armonici dei toni musicali, i neoplatonici vedevano l'opera di una forza cosmica razionale.

Benché Ipazia fosse considerata pagana, termine allora indicante la religione romana tradizionale prima del cristianesimo, ella in realtà non venerava nessuna divinità in particolare, e le sue idee potevano essere applicate a molteplici punti di vista religiosi.

Studenti ebrei, cristiani e pagani venivano dai luoghi più remoti dell'Impero per studiare con lei.

L'ambiente neutrale che Ipazia promuoveva, dove tutti gli studenti potevano sentirsi a proprio agio, era particolarmente straordinario visti i tumulti politici e religiosi che turbavano la città di Alessandria a quel tempo.

Il cristianesimo era diventato da poco religione dell'Impero e l'arcivescovo della città, Cirillo, che aveva guadagnato sempre più potere politico, ordinò a zelanti milizie di monaci cristiani di distruggere i templi pagani e perseguitare la popolazione ebraica.

Così facendo, sconfinò nell'autorità secolare del governatore romano Oreste, un cristiano moderato, dando il via a un'aspra opposizione pubblica tra i due uomini.

Dato che Ipazia era considerata una figura saggia e imparziale, il governatore Oreste consultò la studiosa, che gli consigliò di agire con equità e moderazione.

Ma quando un gruppo di monaci di Cirillo incitò alla rivolta, ferendo gravemente Oreste, Oreste fece torturare a morte il loro capo.

Cirillo e i suoi seguaci incolparono Ipazia accusandola di stregoneria per aver fatto rivoltare Oreste contro il cristianesimo.

Nel marzo del 415, mentre Ipazia stava percorrendo le vie cittadine, la milizia di monaci del vescovo la trascinò fuori dalla sua carrozza e la uccise brutalmente, facendola a pezzi.

La morte di Ipazia rappresentò una svolta decisiva per la politica di Alessandria.

Dopo il suo assassinio, altri filosofi della tradizione greca e romana fuggirono, e la città cominciò a perdere il suo ruolo di centro culturale.

In pratica, lo spirito di indagine, apertura ed equità che aveva promosso morì con lei. 

 

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(Libera traduzione dal video TED-ED dedicato ad Ipazia d'Alessandria)

 

lunedì 3 agosto 2020

Etimologia mon amour 02


Avere fegato: presso gli Etruschi il fegato era considerato sede di ogni sentimento e qualità interiore. Per gli antichi Greci era sede della caparbietà, della forza fisica e dell'amore sensuale.
Prima di sorriderne riflettete sul fatto che noi oggi continuiamo ad assegnare la sede dei nostri sentimenti al cuore, contro ogni evidenza scientifica ...
Tornando al fegato, dal suo esame gli indovini etruschi traevano previsioni, tale arte era detta “aruspicina” (da
ar che significa fegato e spicio che significa guardare). Gli aruspici predicevano il destino studiando il fegato degli animali sacrificati, comparandolo con un modello bronzeo (famoso è il fegato di Piacenza, modello riportante le ripartizioni degli dèi) per osservare quale divinità aveva mandato quel segno, per poi cercare di carpirne il significato.

Il termine “fegato” deriva dal latino “iècur ficatum” che stava per “fegato di animale ingrassato con i fichi”, molto apprezzato dai buongustai di allora. Poi cadde il sostantivo iècur e rimase solo il participio ficatum, poi trasformato nell'italiano fegato, senza più alcun riferimento ai fichi ma usato eventualmente nel senso etrusco come sede di sentimenti e di coraggio!

Come non ricordare il mito di Prometeo che coraggiosamente rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Zeus lo condannò a essere incatenato per l'eternità a una roccia, e dispose che ogni giorno un'aquila gli divorasse il fegato. Ogni notte però il suo fegato ricresceva, così che l'aquila potesse tornare a divorarlo il giorno seguente. Nel mito è presente un fondo di verità: il fegato è infatti il solo organo del corpo umano capace di una rigenerazione quasi totale.



Barella: non so se ci avete mai pensato ma “barella” significa letteralmente “piccola bara”... già … la barella però, come sappiamo, serve anche a trasportare chi si sia semplicemente slogato una caviglia, questo perché in realtà già la parola “bara” implica in sé il concetto di trasporto, “bara” infatti è una parola longobarda che significava appunto “lettiga”, “trasportino”, dalla radice indo-europea “bhar” traducibile col verbo “portare”.

Curioso a tal proposito era il “Giudizio della bara” : era una pratica in uso nel medioevo (ma di cui si ha notizia ancora fino all'Ottocento) per scoprire l’autore di un omicidio: il cadavere dell’ucciso veniva esposto in luogo pubblico, e lo si faceva toccare da tutti coloro sui quali ricadevano dei sospetti, nella convinzione che al tocco della mano dell’omicida le ferite dell’ucciso tornassero a gettare sangue!

Ecco spiegato perché non trovavano mai il vero colpevole ...



Scuola: un ètimo che i professori e gli studenti faticano a digerire, deriva infatti dal greco “skolè” che significa “ozio”, “riposo”. Perché per gli antichi greci le occupazioni intellettuali erano considerate proprie di chi ... non aveva nient'altro da fare.
Anche per i latini il significato era simile, ad esempio negli stabilimenti termali lo spazio attorno alla vasca si chiamava “schola labri” (dove “labrum” sta per “vasca”), per indicare un posto dove si stava seduti a far niente.

Milioni di scolari si troveranno perfettamente d'accordo con questa definizione!