giovedì 23 dicembre 2021

Popper e la svolta falsificazionista

 

Nella Vienna dei primi decenni del Novecento Karl Popper (1902-1994) si poneva il problema di stabilire un confine tra scienza e non-scienza. Nel suo caso, ciò significava decidere se e perché teorie come la relatività, la psicanalisi o il marxismo potevano dirsi scientifiche. Emblematico e decisivo è un episodio relativo al periodo di studio svolto col psicologo sociale Alfred Adler (1870-1937): «L’elemento più caratteristico di questa situazione mi parve il flusso incessante delle conferme, delle osservazioni, che “verificavano” le teorie in questione; e proprio questo punto veniva costantemente sottolineato dai loro seguaci. Un marxista non poteva aprire un giornale senza trovarvi in ogni pagina una testimonianza in grado di confermare la sua interpretazione della storia […] Gli analisti freudiani sottolineavano che le loro teorie erano costantemente verificate dalle loro “osservazioni cliniche”. Quanto ad Adler, rimasi colpito da un’esperienza personale. Una volta, nel 1919, gli riferii di un caso che non mi sembrava particolarmente adleriano, ma egli non trovò difficoltà ad analizzare nei termini della sua teoria dei sentimenti di inferiorità, pur non avendo nemmeno visto il bambino. Un po’ sconcertato, gli chiesi come poteva essere così sicuro. “A causa della mia esperienza di mille casi simili”, egli risposte, al che non potei trattenermi dal commentare: “E con quest’ultimo, suppongo, la sua esperienza vanta milleuno casi”» (Congetture e confutazioni, 1969, il Mulino).

L’episodio è particolarmente illuminante della difficoltà che incontra il metodo verificazionista dal punto di vista di Popper. Anche se, come sostenevano i primi neopositivisti, tutta la metafisica può essere espunta dal novero degli enunciati empiricamente controllabili, purtroppo esistono ugualmente teorie supportate da un alto numero di conferme e che tuttavia non possono dirsi scientifiche: è il caso della psicanalisi, del marxismo, e in generale di ogni teoria sulla realtà che cerchi verifiche alle sue previsioni. E’ sempre possibile, infatti, per chi le cerca, trovare delle conferme, o reinterpretando i fatti, o correggendo il significato dei termini, o semplicemente selezionando tra i fatti quelli che rispondono alle proprie aspettative. 

Non è sbagliato cercare di demarcare scienza e non-scienza, né cercare nell’esperienza un criterio per tale demarcazione. Ciò che è sbagliato è aspettarsi dall’esperienza una verifica, una conferma. L’esperienza, per Popper, non potrà mai verificare una teoria: ma, se quella teoria è scientifica, potrà falsificarla. Mentre un fatto unico basta a rendere falsa una teoria scientifica (come ci insegna il modus tollens della logica classica), nessuna teoria scientifica può essere resa vera, nemmeno da moltissimi fatti (come ci insegna l’avvertenza di non cadere nella fallacia dell’affermazione del conseguente).
A questo proposito, Popper parla di asimmetria fra verificazione e falsificazione. Per falsificare un enunciato basta un fatto che lo contraddica, mentre per verificarlo ne servirebbero infiniti. Tuttavia, a differenza del criterio di verificazione per i neopositivisti, la falsificazione è per Popper solo un criterio di demarcazione, non di significato. 

(Fonte: Paolo Vidali – Giovanni Boniolo)

 

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