lunedì 24 maggio 2010

L'arte dell'oblio

Nessuno viene risparmiato dall’oblio.
A tutti è capitato di dimenticare qualcosa e, persino, di dimenticare qualcosa faticosamente imparato a memoria, di dimenticare tutto.
Nessuno può dire, a cuor leggero di sé stesso: questo per me è indimenticabile, non lo dimenticherò mai. Perché l’uomo è per sua stessa natura un animale che dimentica (animal obliviscens).
L’accorgersi delle dimenticanze proprie o altrui rientra, fin dalla giovinezza, nelle esperienze di vita più elementari ed è una delle piaghe della vecchiaia. Ciò che significhi la parola “oblio” lo si sa da sempre ed è l’ultima cosa che si dimenticherà.
Ma d’altra parte non esiste alcun “artista della memoria” che non aneli anche a un caritatevole oblio.
La memoria ha certo un po’ ragione, ma l’oblio non ha sempre torto.
La storia delle idee che trattano l’oblio è molto lunga: da Platone (la dottrina della dimenticanza al momento della nascita) ad Agostino (la narrazione della conversione dall’oblio di Dio), fino a giungere a Nietzsche (“Beati quelli che dimenticano”) a Freud (“La segreta disposizione di colui che dimentica”). Infine: quello che facciamo oggi con le memorie dei computer non è forse un “salvare per dimenticare”?

La damnatio memoriae è un concetto giuridico che ha avuto una parte importante nella storia della cultura moderna. A Roma la pena colpiva soprattutto imperatori o altri governanti che, in occasione di una svolta politica, alla loro morte venivano dichiarati “nemici dello Stato”; a quel punto si distruggevano le loro immagini e statue e si toglievano i loro nomi dalle incisioni (ad es. Domiziano nel 96 dC), allo scopo dichiarato di eliminare dal mondo il ricordo di quella persona. L’oblio quindi come pena suprema, peggiore della morte.

Ma altri pensatori, nei secoli seguenti, coglieranno l’aspetto positivo, quasi terapeutico dell’oblio.
Nietzsche paragonò l’oblio nientemeno che alla serenità:

Serenità aurea, vieni!
Tu che pregusti la gioia
della morte il più dolcemente, segretamente!
Sulla mia strada troppo rapido corsi?
Solo ora, quando il piede si stancò,
il tuo sguardo ancora mi coglie,
mi raggiunge ancora la tua felicità.
Solo giuoco e onde intorno.
Ciò cui accade d’esser pesante,
sprofondò in azzurro oblio,
ferma è ora la mia barca, oziosa.
Rotta e tempesta, tutto dimenticato!
Brama e speranza affogò,
giacciono lisci anima e mare.
Settima solitudine!
Mai sentii a me
più vicina una dolce certezza,
più caldo lo sguardo del sole.
Non si infiamma ancora il ghiaccio della mia vetta?
Lieve, argentea, come un pesce,
la mia navicella ora nuota lontano…

(Il sole declina, Nietzsche)

Anche Freud si occuperà del fenomeno dell’oblio in relazione alla sintomatologia dei lapsus e degli atti mancati. Cosa succede nella psiche se qualcuno sbaglia nel sentire, nel parlare, nel leggere, nello scrivere o se mette fuori posto, smarrisce o dimentica qualcosa? Freud riconosce una natura affine tra queste azioni, concludendo che non si tratta di una semplice coincidenza. Egli utilizza la metafora delle due stanze: il salotto e l’anticamera; nell’anticamera scorazza l’inconscio, mentre il conscio trova posto nel salone. Sulla soglia, tra i due ambienti, troviamo un “guardiano” che esamina, censura i singoli impulsi psichici e non li ammette nel salotto se non gli vanno a genio. Tra l’anticamera e il salotto si agitano le pulsioni dello spirito. L’incoscio infatti vuole diventare conscio, ma viene trattenuto sulla soglia dalla resistenza del guardiano e tenuto fuori dal salone salvo il caso che, per una distrazione momentanea, metta il piede oltre la soglia riuscendo a diventare preconscio. Ecco il lapsus, la svista, la dimenticanza che si manifesta.
Secondo Freud l’inconscio è sempre qualcosa di dimenticato, in alcun caso è qualcosa di non-conosciuto. L’incoscio insomma è un ex-conscio che è stato (spesso volutamente) dimenticato, ma non per questo è scomparso dal mondo, anzi, continua a formare uno strato latente dell’anima, perché nella vita psichica nulla può perire. Tutto ciò che è stato dimenticato ha un motivo per esserlo.
Questa teoria segna una pietra miliare nella storia culturale dell’oblio. Con Freud l’oblio ha perso la sua innocenza.

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