martedì 13 aprile 2010

Ragione e irrazionalità tra Oriente e Occidente.

L’irrazionalità in Occidente origina dall’antica Grecia, dove àlogon significò in primo luogo ‘privo di discorso (logos), ovvero contrario al calcolo e all’aspettativa, inverosimile. Infine in Plutarco, oltre che in Platone e Aristotele, il vocabolo viene a denotare ciò che è privo di ragione e di fondamento, la demenzialità e l’assurdo, che in latino significherà il disarmonico e il privo di gusto.
In matematica si denomino àlogon il rapporto tra due grandezze incommensurabili, con una misura comune che non si può esprimere con un numero intero o frazionario, ma soltanto con una serie infinita di frazioni. La scoperta del numero irrazionale fu considerata il disastro della teoria pitagorica, basata sul numero come espressione del vero.
Quanto a logos, parola e ragione, provenendo da léghein, raccogliere, denota ciò che è raccolto e riunito insieme, quindi il discorso coerente, la parola sensata, l’origine, l’indagine.
Nel mondo antico la parola assume il massimo dei significati con Filone: designa il programma della creazione universale, il supremo dei poteri divini, l’idea delle idee e infine l’intuizione intellettuale o contemplazione che se ne impadronisce e vi si identifica, ed è più elevata del pensiero stesso.
In latino logos si potrebbe tradurre comprehensio, che denota la presa e l’impossessamento.
L’àlogon diventa invece insania, ovvero follia., irragionevolezza, l’opposto di ratio che è originato dall’indoeuropeo reri, cioè ‘contare’, ‘numerare’, ma anche ‘riflettere’, ‘persuadere’, ‘dottrina’.

Mentre in Occidente la ragione origina quindi dall’atto del contare, in Oriente proviene dall’idea della stabilità. In Cina Ku, ‘ragione’, si scrive con un ideogramma che denota dieci bocche, vale a dire ciò che una pluralità significativa di persone trasmette. L’rrazionalità è invece indicata con ciò che non rientra nel costume di una comunità.
In genere nelle civiltà orientali l’opposizione di ragione e irrazionalità non ha il phatos che la contrassegna in Europa. Uno dei motivi è che la dicotomia occidentale si trasfonde, in oriente, in una triade.
Nel sistema castale indù il contrasto fra l’emozione scatenata ed energica del guerriero e la razionale quiete del bramino è mediato dalla convivenza con la casta dei mercanti e quella dei contadini. Furore e pacificità hanno ciascuno la propria sfera e ciascuno deve attenersi ad una dieta confacente, ad un’occupazione determinata, ad un rituale ed a un culto specifici e complementari fra loro.
Fra conoscente e conosciuto media il conoscere, fra soggetto e oggetto media l’unione, fra amante ed amato media l’amore.
Si può dire che fra ragione e irrazionalità media l’ispirazione.
Per lo scivaismo Siva riassume la triplicità, simboleggiata dal suo tridente, le cui punte sono l’essere, l’impulso e l’oscurità o anche i tre condotti sottili che innervano l’uomo connettendo coccige e testa. Il contrasto razionale-irrazionale si supera nell’empito, che può culminare nella follia.
Questo non deve far pensare che in India mancasse una logica rigorosa al pari dell’aristotelica. Essa fu enunciata nel Nyaya Sutra. Il sillogismo fu esposto nel quadro rettorico di cinque interrogazioni successive: dapprima si domanda quale sia la tesi, ottenendo in risposta l’enunciazione, quindi si chiede la ragione, l’esempio probante e la sua applicazione, per finire con la conclusione.
Su questa scorta i buddhisti argomenteranno: “ Le conoscenze non hanno un oggetto (enunciazione), infatti tale è la conoscenza in genere (ragione) quale la conoscenza che si ha nel sogno (esempio probante), per cui nello stato di veglia si ha lo stesso tipo di conoscenza (applicazione) e anche la conoscenza che si ha nello stato di veglia è priva di oggetto (conclusione)”.
La logica buddhista nega che di qualsiasi cosa si possa dire che esista o che non esista. Parrebbe nichilismo, ma in realtà esprime un atteggiamento equivalente, perché da un determinato punto di vista afferma che un oggetto è, ma nella misura in cui sta in un contesto, non è, e le due preposizioni si conciliano, sicché esso è e non è allo stesso tempo; d’altro canto può essere indeterminato e indescrivibile, sicché esiste e tuttavia è indescrivibile o non esiste affatto ed è anche indescrivibile o infine, per distinti aspetti, è e non è indescrivibile.
Pertanto si afferma che tutte le cose sono vuote eppure appaiono nel tempo e si percepiscono; l’opposizione si concilia fondento i due opposti. L’irrazionale è ciò che non rientra in questa composizione e resta ancorato al desiderio.
La realtà è movimento, la causalità la fa ritenere statica, ma i successivi scatti della causazione non sono retti da nulla e li separa un intervallo infinitesimo. Tutto è momentaneo, ogni durata è una sequenza di punti, non esiste né spazio né moto, soltanto un seguito di punti istantanei, per i quali è irragionevole postulare un ricettacolo spazio-temporale.
Il grande studioso del buddhismo F.T. Stcherbatsjij (1930-1995) notò che la logica buddhista precedette la concezione della fisica moderna. La percezione istantanea è ineffabile e non è percettibile, ma rende possibili le nostre percezioni.

Elémire Zolla

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