Si viaggia, percorrendo il mondo per placare quell' irrequietezza dell'anima che si nutre di continuo mutamento, o semplicemente vagando con lo sguardo su un atlante, compiendo "un viaggio nel luogo che invece cancella il viaggio stesso, proprio perché tutti i viaggi possibili sono già descritti e gli itinerari sono già tracciati" . E, nello spazio tra la dimensione nomade del viaggio esistenziale di Chatwin, e quella squisitamente concettuale di Luigi Ghirri, infinite altre sfumature, come compiere con Franco Vaccari un "viaggio per un trattamento completo nell'albergo diurno Cobianchi", ciascuna comunque "metafora di un'erranza interiore, legata all'avventura del guardare, dell'esperire, del descrivere" ('Il paesaggio è un'avventura' Raffaele Milani). E, diremmo noi, del rappresentare.
Viaggio dunque come esperienza dell'altrove, ma altrettanto indissolubilmente legato ad una geografia immaginaria, al fluire della mente lungo sentieri inediti e visionari, dove memoria e sogno si coniugano liberamente con curiosità, intuizione e sperimentazione, rinnovandoci di continuo.
E poiché "una fotografia" - avverte Wim Wenders - "è sempre un'immagine duplice: mostra il suo oggetto e, più o meno visibile, dietro, il controscatto, l'immagine di colui che fotografa", a volerne tentare una declinazione fotografica si potrebbe accostare questa avventura della mente all'elaborazione di una poetica, l'intenzione necessariamente sottesa a qualsiasi rappresentazione, essendo "la realtà umana significato-concrezione, costruzione di significati rappresi, essa non può trovarsi nella fotografia, ma nell'intenzione del fotografo. Se non c'è l'intenzione, cade anche il significato, cioè il criterio selettivo, il dato emergente, la variabile decisiva. Resta solo il gesto - click - troppo facile per non riuscire stupido" (Franco Ferrarotti).
Risiede pertanto nella consapevolezza dell'intenzione la distanza tra una foto che esprime la pienezza sensoriale e creativa del nostro essere in viaggio, e la banale preda fotografica che - dall'arte alla letteratura - legittima la considerazione della macchina fotografica come tratto caratterizzante lo stereotipo stesso del turista. Ovvero di colori i quali, coltivando l'illusione di possedere il mondo attraverso le fotografie, "tutto ciò che non è fotografato è perduto" ('Le follie del mirino' Italo Calvino), sentendosi così "costretti a mettere la macchina fotografica tra sé stessi e tutto ciò che di notevole incontrano", ma le cui immagini " restano dominate nella loro intenzione e nella loro estetica da funzioni estrinseche", e che "esprimendo sovente solo l'incontro contingente e personale tra il fotografo e il suo soggetto, perdono ogni significato e ogni valore quando siano osservate in sé e per sé da uno spettatore indifferente all'avventura singolare di chi le ha riprese" (Pierre Bourdieu).
Quanto poi alla straordinaria capacità della fotografia di farsi narrazione del viaggio, con la sua forza evocativa e insieme onirica, è confermata dai frequenti intrecci e contaminazioni con la letteratura, anch'essa da sempre inestricabilmente legata al viaggio: oltre ad aver scelto di esprimersi con la fotografia, sono molti gli scrittori che hanno intrapreso l'esperienza del viaggio insieme ad un fotografo, dalla coppia Strand-Zavattini, ai più recenti Fossati-Messori, e Altan-Bulaj, "non ha solo osservato" dirà Altan della sua speciale compagna di viaggio, "ha modificato, se non contribuito a costruire il viaggio. La sua presenza ha dilatato le percezioni, aumentato le occasioni d'incontro. Talvolta ho notato delle cose solo dietro al suo obiettivo. Oggi so parecchie cose in più"
Dunque "saremmo stati qui" potremmo dire con Walter Benjamin, al termine di questi brevi appunti, e soprattutto, di fronte alle nostre foto di viaggio, continuando a coltivare anche, oltre il viaggio, il salutare esercizio del dubbio, capace di trasformare, con la sua messa in discussione dell'immediatezza del senso comune, l'esperienza in sapere, e di rivelarci così il mondo da un'altra prospettiva.
Attilio Lauria
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