Per vivere, per poter anche solo respirare, devo fare lo sforzo insensato di credere che il mondo o i miei concetti racchiudano un fondo di verità; non appena lo sforzo si allenta, ricado in quello stato di pura indeterminazione in cui, dato che la minima certezza mi appare come un errore, ogni presa di posizione, tutto ciò che il mio spirito asserisce o proclama, assume la forma di un vaneggiamento. Qualsiasi affermazione mi sembra allora azzardata o degradante, come pure qualsiasi negazione.
E' indubbiamente strano non meno che pietoso arrivare a tal punto, quando per anni ci si è applicati, con discreto successo, a vincere il dubbio. Ma è un male di cui nessuno si sbarazza completamente, se lo ha provato sul serio.
Bisogna immaginare un principio autodistruttivo di essenza concettuale, se si vuole capire il processo attraverso cui la ragione arriva a scalzare le proprie basi e a corrodere se stessa. Non contenta di dichiarare impossibile la certezza, ne esclude persino l'idea, e andrà anche oltre, respingerà qualsiasi forma di evidenza, giacché le evidenze procedono dall'essere, da cui si è distaccata, e questo distacco genera, definisce e consolida il dubbio.
Dopo aver dubitato dei miei dubbi, sono finito a dubitare del mio sé, a sminuirmi, ad odiarmi, a non credere più alla mia missione di distruttore. Non mi resta che cercare rifugio nel vuoto primordiale, ma qui nasce un interrogativo:
"Che cosa faceva Dio quando non faceva nulla?"
Giunto a ciò, nulla temo quanto la ricaduta. Almeno mi sarà facile considerare dal di fuori il dubbio, avrò quindi ancora il vantaggio di potermi aprire a esperienze di ordine diverso, soprattutto a quelle degli spiriti religiosi, che utilizzano e sfruttano il dubbio, ne fanno una tappa, un inferno provvisorio ma indispensabile per giungere all'assoluto.
Quando Sariputta esclama: "Il Nirvana è felicità" e gli si obietta che non ci può essere felicità laddove non vi sono sensazioni, egli risponde: "La felicità sta appunto nel fatto che in essa non v'è alcuna sensazione!".
Questo paradosso non è più tale per colui che, malgrado le sue tribolazioni e il suo logoramento, dispone ancora di risorse sufficienti a raggiungere l'essere al confine del vuoto, e a vincere, magari solo per brevi attimi, quell'appetito di irrealtà da cui sgorga la chiarezza del dubbio, alla quale non si possono contrapporre che evidenze extra-razionali, concepite per un altro appetito, l'appetito del reale. Tuttavia, approfittando del minimo cedimento, ecco il solito ritornello:
"Perché questa cosa piuttosto che quella?"
giovedì 11 marzo 2010
Cioran
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Dopo aver dubitato dei miei dubbi ...
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