L’apparizione del Buddhismo costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione dello spirito umano, non tanto per il contenuto specifico della sua dottrina, il Dharma, quanto per il fatto che attraverso il messaggio del Buddha, l’esigenza della Liberazione (la mukti o il moksa della tradizione pan-indiana), viene per la prima volta definito nei termini di un pensiero logico e razionale e non di una rivelazione di genere mistico.
Trascurando le ispirazioni divine che in precedenti epoche avevano additato all’uomo la via per l’interiore resurrezione, il Buddhismo adatta alle esigenze di un pensiero puramente logico ed umano la più grande avventura dello spirito, consistente nell’emancipazione dell’uomo dalla permanenza nel ciclo delle ripetute esistenze terrestri, il samsara, ognuna delle quali condizionata dal ‘frutto’ delle azioni compiute nell’esistenza precedente, la cosidetta Legge del Karma.
Secondo questa, in una ruota senza fine, l’uomo comune migra di esistenza in esistenza con il viatico delle conseguenze delle azioni compiute precedentemente che determinano le fattezze della vita da compiere e lo scenario in cui questa si svolgerà; vita e scenario di per sé illusori, in quanto condizionati dalle trascorse brame, volizioni, pensieri ed azioni dell’individuo, che a sua volta torna ad identificarsi nelle medesime passioni, paure e ripugnanze, che determineranno la direzione della vita presente e, in ultima analisi, il genere della nascita futura, finché la Liberazione (o Illuminazione) non intervenga a spezzare questa catena esistenziale fatta di dolore e di ignoranza.
Lungo il cammino della Liberazione, che il Buddhismo chiamerà la ‘Via Mediana’, perché egualmente distante dalle esagerazioni dell’ascetismo fanatico come da quelle di una vita volta alla ricerca del solo piacere, l’uomo si libera gradualmente dall’illusione (maya) circa la realtà del mondo e circa la sua personalità contingente: quello gli apparirà come una successione di accadimenti, l’un dall’altro determinati, e non di solide realtà, questa gli si rivelerà come un fascio di percezioni, sensazioni, volizioni e impulsi, cui egli attribuisce erratamente il carattere dell’ “io sono” quale supporto di una vita cosciente di relazione, che in realtà si manifesta come quel divenire doloroso e affannoso, fatto realmente di nulla, di cui è tessuta la perpetua vicenda del nascere-vivere-morire-rinascere, che gli Indiani denominano samsara, il perpetuo scorrere.
Beninteso, questa razionalità del Buddhismo e della sua ascesi non si esaurisce nella formulazione discorsiva di connessioni logiche e di principi etici, bensì considera quelle e questi alla stregua di meri supporti per un’esperienza identificativa con la realtà della realtà, esperienza che finisce per attuarsi come ‘estinzione’, nirvana, dell’illusione esistenziale.
Tali infatti furono le parole del Buddha dopo che ebbe spiegato ai suoi primi discepoli quale strada avesse perscorso per arrivare all’Illuminazione:”Sappiate, o monaci, che tutto quanto vi ho detto è per voi totalmente inutile, giacché non ha senso seguire la strada di un altro, ognuno deve trovare la propria. Non credete ciecamente alle mie parole, ma provate e sperimentate voi stessi sulla vostra vita ciò che funziona per voi”. E alla domanda diretta di un monaco:”Ma Dio esiste o no?” il Buddha rispose:”Che importanza ha?”
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