venerdì 12 febbraio 2021

Je ne parle pas français

 

Chissà perché questo piccolo caffè mi piace tanto.
È sporco e triste, triste... Se almeno qualcosa lo distinguesse da centinaia d'altri. Macché. Oppure se ogni giorno ci venissero gli stessi tipi strani e da un angolo si potesse osservarli, riconoscerli e più o meno (con l'accento sul meno) abituarcisi.
Ma vi prego, non immaginate che quelle parentesi siano una mia confessione di umiltà dinanzi al mistero dell'animo umano.
No, no davvero. Io non ci credo all'animo umano. Non ci ho mai creduto.
Secondo me le persone sono come valigie - riempite con questo e quello, spedite, buttate di qua e di là, scaraventate in aria, sbattute per terra, perdute e ritrovate, a un tratto vuotate a metà, o stipate da scoppiare, fino a che l'Ultimo Facchino le lancia sull'Ultimo Treno, e filano via sferragliando...
Eppure, queste valigie possono avere un grande fascino. Oh, grandissimo! Mi ci vedo di fronte, sapete, come un doganiere.
“Niente da dichiarare? Vini, liquori, sigari, profumi, seta?”
E il breve attimo di esitazione, subito prima di buttare giù con il gesso il classico scarabocchio, al pensiero che stiano per farmela, e l'altro attimo subito dopo, al pensiero che me l'abbiano fatta, sono forse i due istanti più emozionanti dell'esistenza. Almeno per me.
Ma prima di cominciare questa lunga, peregrina, e in fondo non originalissima digressione, intendevo dire con tutta semplicità che qui non c'è nessuna valigia da esaminare, perché la clientela di questo caffè, signore e signori, non si mette a sedere. No, resta in piedi, al banco, e si compone di un gruppetto di operai che vengono su dal fiume, tutti impolverati di farina bianca, calce o qualcosa di simile, e di pochi soldati, accompagnati da ragazzette magre e nere, con anelli d'argento agli orecchi e il braccio infilato nel paniere della spesa.
Anche Madame è magra e nera, con le guance bianche e le mani bianche. Con certe luci sembra proprio trasparente, risplende, nel suo scialle nero, con un effetto straordinario.

Quando non serve siede su uno sgabello col viso rivolto sempre alla finestra. I suoi occhi cerchiati di scuro frugano e inseguono la gente che passa, e pure non cercano. Forse, quindici anni or sono, cercavano, ma ora quella posa si è fatta abitudine.

S'indovina dalla sua aria stanca e scorata, che vi ha rinunciato da almeno dieci anni.
E poi c'è il cameriere. Non patetico, decisamente non comico.

Mai che faccia una di quelle osservazioni totalmente insignificanti che stupiscono tanto in bocca a un cameriere... 

(Incipit dal racconto "Je ne parle pas français" di Katherine Mansfield - Adelphi)   


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