Anche il finito ha la sua poesia e il suo valore, e l'umana società il suo senso immanente, al di là dell'antitesi col mistero della trascendenza, anzi, in armonia discorde con esso.
La scepsi è un richiamo ad un pensare concreto, che ha le sue radici nell'esistenza, che accetta la contraddizione e l'irrazionalità, l'aporia e il paradosso, perché tale è l'esistenza, scissa tra radicali antinomie, che nessuna sintesi e nessun sistema concilia se non a spese della verità.
Ogni sistema di pensiero, più si fa perfetta e armonica la sua armatura concettuale, più si nega alla vita e all'esperienza, che non si lasciano rinserrare in alcun sistema logico conclusivo. Dalle maglie del sistema evade la problematicità dell'esistenza, perché la sua logica sconta il mito di una trasparente intelligibilità, in cui tutto si connette, si armonizza e si concilia, con la sua rottura, col suo naufragio, per cui ogni singola realtà è se stessa e solo se stessa con il suo destino, fuori della legge di connessione in cui il pensiero umano l'intende e la limita.
Ogni vero pensatore vive spezzando continuamente la forma nella quale il suo sistema tende a definirsi, cerca di liberarsi dell'economia mentale che tende a schematizzare la fluidità della vita.
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