Non sempre era facile seguirla, la linea. Spariva oltre un torrente ringhioso, si perdeva nell'incavo di fossi cari al crescione e a limacciose lumache senza guscio. O perché cadeva brusca la notte. Che fare adesso? Stavamo lì attorno a magri fuochi di sterpi, malamente accampati, inquieti, la paura come rugiada sui nostri mantelli.
E noi sempre ancora a marciare, ancora talvolta a dover combattere, polverosi, ossuti, la daga incrostata, le frecce scarse nella faretra. Ma vivi, grazie alla linea di minor resistenza. Ora ne vediamo all'incirca la fine, oltre quegli ultimi cardi e più in là lo stagno immobile. E ci contiamo, noi superstiti attorno a braci decrescenti. Ci rallegriamo, la voce arrochita, prendendo spesso fiato. Qualcuno tenta le prime note di un canto, presto scoraggiato. Una lunga fuga, dice un altro, tra nebbie e sbiechi di gelide piogge e la mazza del sole, soltanto una fuga è stata tutta la nostra marcia per lancinanti strappi, disonorevoli omissioni. Ma non è stato proprio così, sempre così. C'erano tratti, anche lunghi, di pur guardinga spensieratezza, di euforico abbandono, l'ombra del pericolo rimasta indietro, quando ci pareva di correre più in fretta del sole, della vita. Un altro ride senza molta allegria, sputa sui carboni un suo dubbio di buffone: la linea di minor resistenza non è mai esistita, ce la siamo inventata per dare un senso al nostro andare, una direzione, un'idea di minimo controllo su quanto facevamo, su quel vano soffrire, quel cadere e poi ripartire a disperdere il vuoto, in qualche modo. Mai esistita ripete il guitto. Sarà. Noi lo lasciamo dire perché alla fine non ha più molta importanza capire come ci siamo veramente arrivati, allo stagno color piombo là dietro."
(Carlo Fruttero)
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