Il vero seguace della scepsi non è scettico per pigrizia spirituale, ma perché diffida dei concetti troppo sottili e delle definizioni filosofiche e teologiche. E per tale diffidenza ha due motivi di fondo.
In primo luogo dubita che il debole intelletto umano - a meno di non essere arrogante o folle - possa avvicinarsi di più alla verità tramite l'iperesattezza.
Inoltre riconosce nel filosofo e nel teologo solo un peccaminoso desiderio di polemizzare, che rappresenta per lui soltanto una variante folle dell'incapacità di amare e delle vanità dominanti.
"Cosa c'è che vada esente da errore?"
In Erasmo la stultitia (pazzia) si rivela essere l'opposto di ciò che sembra di primo acchito: da follia del mondo diventa la saggezza stessa, quella saggezza che è più alta di ogni ragione umana, e perciò viene considerata pazzia soltanto dalla ragione umana! Anche in Nicola Cusano, e persino in Socrate, si trova la "dotta ignoranza" che sola consente di mettere in discussione il sapere razionale e la sua arroganza.
Il "profano" (in Cusano l'"idiota"), i "fanciulli" (nel Vangelo), il "sapere di non sapere" (in Socrate), sono l'essenza stessa della scepsi.
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