martedì 17 novembre 2009

Fanciullezza

Le verità più alte si apprendono, dice Platone nelle Leggi, soltanto sapendo intuirne il ridicolo; Origene si spinge a proclamare che il sapiente è simile al fanciullo che gioca davanti alle bare dei genitori: l'archetipo della sua purezza. Tra gli insegnamenti di Jung svetta la trattazione del Fanciullo Eterno: il bambino diviene l' illustrazione di un'esistenza beata smarrita, che si spera di riprendere nell'aldilà.

Anche se in tutti è sepolto il tesoro dell' infanzia, esso si trova ad irraggiungibili profondità; strati su strati, discorsi e formule lo ricoprono e, induriti dal tempo, diventano le difese invalicabili dell'ordine sociale. Lavorati a puntino sono gli uomini da un'educazione avvilente, ronzano loro costantemente nell' orecchio i ricatti degli affetti e dei doveri.

Distingue l'estaticità infantile una assenza: vi manca infatti del tutto la suddivisione per noi fondamentale dell'universo nelle due metà rigorosamente, furiosamente contrapposte: normale-mostruoso, pulito-sconcio, accetto-repellente, bene-male, bianco-nero...

Dai due, tre anni circa di età questo gioco di opposizioni è risolutamente impiantato in noi, e risulta chiaro il suo artificio: dipende da epoca, classe, geografia.

Quando nella beata solitudine antecedente a questa età irrompono gli adulti, restano spesso esterrefatti per le cristalline verità che ne possono emergere. Nella sua condizione pura e distaccata l'infante apprende subitaneamente sistemi di complessità incalcolabile, basta che ascolti distratto un fluire di parole e di colpo, senza fatica, senza avvedersene, impara le regole di una lingua, la può parlare, o forse sarà meglio dire: potrà farsene parlare.

Si dice oggi che nel fanciullino le due metà del cervello collaborano come in seguito non sarà più dato; purtroppo sempre si trama il complotto per strapparlo alla sua autonomia e magia. Gli si rivolge la parola col timbro aspro del comando o quello insidioso del raggiro pedagogico o quello trepidante del ricatto sentimentale, e ben presto le sue difese saranno sbriciolate.

Ancora Platone, nel Menone, afferma che conoscere è rammentare: è nella prima infanzia che si ebbe esperienza dell'Uno. Se sapienza è semplicemente conoscersi, è nel nostro passato puerile che trovammo, dopo l'Uno, le idee essenziali cui le cose sono improntate e che ricordiamo via via nell'esistenza, vincendo l' amnesia.

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