La scelta volontaria di
competere per i posti migliori ed evitare quelli peggiori, sembra
essere, al membro della classe disagiata, e alla famiglia che lo
finanzia, la più razionale possibile.
Si tratta di tentare di
evitare ad ogni costo la minaccia del declassamento.
La fantascienza distopica
dell'ultimo decennio - opere letterarie, fumettistiche o
cinematografiche come Hunger Games o Divergent - ha
incarnato alla perfezione le ansie di una società che sente di dover
scegliere tra una competizione senza pietà per i pochi posti
migliori e un destino miserabile, spesso descritto come peggiore
della morte.
Insomma per chi dispone
delle risorse sufficienti è considerato razionale prolungare gli
studi universitari, perfezionare un proprio talento o accumulare
relazioni, piuttosto che andare a raccogliere pomodori. In questo
modo aumenteranno le probabilità di ottenere il successo nel proprio
campo, Anche se dopo cinque, dieci o vent'anni vissuti da “vitelloni”
come nel film di Fellini.
Personaggio esemplare di
questo tipo di strategia è Richard Katz nel romanzo Libertà
di Jonathan Franzen: cantante in uno sconosciuto gruppo rock fino
all'alba dei 40 anni, barcamenandosi tra vari proverbiali
“lavoretti”, d'un tratto diventa famoso e passa istantaneamente
da sfigato a idolo delle folle.
Il successo di questo tipo
di strategia, retrospettivamente, getta spesso una nuova luce
sull'intero accidentato percorso che lo precede, creando una specie
di illusione teleologica, ovvero l'impressione che il destino fosse
già stato scritto.
Le scelte più folli
sembrano d'un tratto decisioni coraggiose, gli sprechi prendono
il nome di investimenti, e l'intera biografia di chi è
riuscito a portare a casa il biglietto vincente diventa una parabola,
spesso anche un modello per tanti che tenteranno di imitarlo.
Ma questa trasfigurazione
non fa i conti con una gigantesca fallacia logica chiamata “bias
del sopravvissuto”: perché di Richard Katz non ce n'è uno solo,
ma centinaia anzi migliaia. Migliaia di aspiranti cantanti rock che
hanno fatto tutti esattamente gli stessi passi, che hanno creduto nel
loro talento, che hanno aspettato per anni e alla fine si sono
ritrovati tra le mani un pugno di polvere.
Solo che non li
conosciamo, oppure li dimentichiamo: la storia la scrivono i
sopravvissuti, ma la loro testimonianza ha un valore statistico
pressoché nullo.
La verità è che essere
bravo, essere tenace, investire ogni risorsa non serve a nulla dal
momento in cui tutti gli altri fanno esattamente la stessa cosa.
Ma ovviamente chi alla
fine ottiene successo tenderà a credere di averlo meritato proprio
grazie alla sua bravura, alla sua tenacia, alla sua follia.
Esiste tutta una
letteratura “motivazionale” sull'argomento, tutta un'industria
della speranza.
In effetti l'intera
economia liberale funziona, oggi, sulla base di questo malinteso.
La macchina semplicemente
non girerebbe se non esistesse la fallacia del sopravvissuto
con le sue promesse alla portata di tutti.
La maggior parte dei
rischi che prendono gli imprenditori quando creano un'azienda sono
irrazionali ed eccessivi, e ugualmente quelli della classe disagiata
quando i suoi membri decidono di affacciarsi su settori professionali
ampiamente saturati sulla base di qualche vaga intuizione del proprio
talento e della propria determinazione.
L'esistenza di questa
fallacia permette di legittimare un “mercato duale”, come si suol
dire, costituito da segmenti dal funzionamento radicalmente diverso:
da una parte un segmento che funziona con contratti atipici e livelli
salariali molto bassi, e un altro con contratti a tempo indeterminato
e forti protezioni. Questa dualità si ritrova ad esempio nella
segmentazione generazionale del mercato del lavoro, con una
maggioranza di “giovani” da una parte e una maggioranza di
“vecchi” dall'altra.
Ma cosa porta il primo
segmento ad accettare condizioni tanto diverse dal secondo? Per
l'appunto la speranza di accedere, presto o tardi, al segmento
protetto. E come sorge questa speranza? Dalla fallacia del
sopravvissuto, appunto, ovvero dalla narrazione secondo cui chi è
bravo e determinato ottiene alla fine il successo.
L'illusione quindi crea la
speranza.
(fonte:
"Teoria della classe disagiata" di Raffaele Alberto
Ventura)