martedì 21 dicembre 2010

Il sorriso eterno

Alla fine scorsero molto lontano una debole luce. Brillava quieta, ma così fievole che appena riuscirono a distinguerla nel gran buio. Andarono verso di essa. Dopo molti anni la luce cominciò ad avvicinarsi.
La raggiunsero: era una piccola lanterna, coi vetri offuscati, che mandava all'intorno un quieto chiarore. Vicino ad essa stava un vecchio, intento a segare. Capirono che era dio.
Era curvo e basso, ma possente di corporatura. Aveva le mani ruvide di chi ha fatto per tutta la vita uno stesso lavoro, senza mai riposare. Il suo viso rugoso esprimeva la stanchezza e una malinconica gravità. Il vecchio non si accorse di loro, e quelli ristettero, colpiti da stupore alla sua vista.
Lo fissarono, senza capire. I più lontani si alzavano sulle punte dei piedi per poter vedere a loro volta; un mormorio si propagò da uomo a uomo, un mormorio sempre più sordo.
in testa a tutti stavano i più nobili: uomini dai lineamenti spirituali, coi visi nei quali fremeva la vita riposta nell'anima, con occhi accesi da una pena segreta.
"Sei tu dio?" cominciarono con voce tremante "Dunque, sei tu dio?"
Il vecchio alzò verso di loro uno sguardo smarrito. Non rispose, ma fece con la testa un cenno affermativo.
"E stai lì a segare?" esclamarono.
Il vecchio non rispose. Si asciugò l'orlo della bocca col dorso della ruvida mano, e si guardò intorno intimidito.
"Noi siamo i vivi" cominciarono "Siamo la vita che tu hai prodotto. Siamo tutti i vivi. Abbiamo lottato e sofferto, dubitato e creduto, brancolando abbiamo camminato nel buio, abbiamo cercato, intuito e bramato, abbiamo cercato noi stessi sino agli estremi confini del nostro essere... Che intendesti fare di noi?"
Il vecchio li ascoltò smarrito e afflitto. Soltanto ora pareva aver ben capito chi essi fossero.
Alzò uno sguardo sbigottito di solitario e lo portò sull'ondeggiante marea umana che si era fermata davanti a lui. La percorse: dovunque i suoi occhi guardavano, essa continuava, non c'era una fine; miliardi e miliardi di esseri, un numero incalcolabile.
Si ricordò si se stesso, abbassò gli occhi, timido e goffo. Non aveva ancora deposto la sega. Le sue vesti, vecchie e logore, sembravano ancor più tali. Si passò una mano sui capelli grigi e lasciò ricadere il braccio. Ora che non lavorava, pareva non saper che cosa fare delle proprie mani.
"Io sono un uomo semplice" cominciò alla fine con voce sommessa
"Io non ho inteso la vita come qualcosa di notevole" proseguì con tono rassegnato.
"Qualcosa di notevole!" tuonò la moltitudine "Udite! Udite! Qualcosa di notevole" Ma è orribile!"
Il vecchio si sentì sopraffatto. Non sapeva dove tenere le grandi mani. Curvò ancor più la grigia testa. Videro che soffriva e lottava.
"Ho fatto meglio che ho potuto" disse con voce bassa.
Vi era qualcosa di commovente in quella risposta, in quell'incapacità a tirarsi d'impiccio.
"Tu ci hai precipitati nel dolore e nel tormento, ci hai precipitati nell'angoscia e nell'inquietudine torturante, in abissi senza nome; ci hai fatto soffrire, hai lasciato che languissimo, disperassimo. Perché? Perché?"
Il vecchio rispose con voce sempre più bassa:
"Ho fatto meglio che ho potuto. Ho lavorato senza cedere alla stanchezza, sono stato sul mio lavoro da quando mi ricordo. Non ho voluto niente. Non avevo alcun disegno. Allora ero soltanto felice"
Nessuno parlava più. Non avevano nulla da dire; tacevano, non perché oppressi, ma per la piena del cuore. Tacevano per intendere tutto, perché vi fosse silenzio perfetto; abbandonavano se stessi per partecipare a ciò che era accaduto.

(P. Lagerkvist)

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