martedì 1 giugno 2010

Induismo

A differenza del cristianesimo o dell’islamismo, l’induismo non riconosce un Dio trascendente dal quale emanano leggi e comandamenti a cui attenersi, nell’induismo l’esperienza religiosa è l’esperienza personale del divino, dell’Universale, dello Spirito che si incarna nello spirito individuale.
La Via della realizzazione o dell’illuminazione consiste quindi nel riconoscere attraverso l’esperienza mistica che l’anima individuale (Atman) è essenzialmente un’emanazione dell’anima universale (Brahman).
Nell’induismo non esiste il concetto di creazione iniziale, ma la creazione è in continuo divenire, l’Universo è la danza di Brahman che ballando crea la realtà.
Il popoloso e complicato pantheon indù è, con le dovute e importanti differenze culturali, formalmente analogo a quello della Grecia classica. Ma mentre per i Greci gli dei rappresentano i detentori di un potere da cui è possibile ottenere protezione, nell’induismo essi rappresentano dei tramiti che consentono di accostarsi all’esperienza del divino. La personificazione della divinità serve, da un lato, a evocare la potenza che la divinità stessa incarna e dall’altro a propiziarsi l’esperienza necessaria attraverso i sacrifici e le pratiche rituali.
Krishna è l’incarnazione del divino che assume sembianze terrene scegliendo le proprie reincarnazioni nei momenti di oscurità delle vicende umane. Nel rivelarsi, Krishna riferisce a se stesso l’esperienza religiosa attraverso la quale riconoscere, realizzare e celebrare il divino che è in noi e liberarci così dal ciclo doloroso delle morti e delle rinascite in cui ogni esistenza è condizionata dalle azioni compiute nelle vite precedenti.
Il concetto di karma è  centrale nella visione induista e merita qualche parola di approfondimento. Molto spesso in Occidente si tende ad assimilare il significato di karma a quello di destino. In realtà il karma non ha niente a che vedere con la predestinazione: il significato letterale del termine è ‘azione’ ma, ancora una volta, questo significa ben poco per un occidentale che non ha nel suo dizionario, come nella sua cultura, alcuna parola che esprima questo concetto.
Nella dottrina indù il karma è il risultato vivente, qui e ora, dell’insieme delle nostre azioni passate e presenti: una specie di testimonianza storica di tutte le nostre vite passate che si incorpora nel nostro attuale stato di esistenza. Più precisamente il karma è l’insieme delle azioni passate e presenti della nostra mente ed è, in queso senso, un filo che lega tutte le esistenze passate in una ‘coerenza’ spesso dolorosa. Spezzare questo ciclo equivale, in termini psicologici, a spezzare la coazione a ripetere e a liberarci dalla necessità di ricalcare gli stessi errori o gli stessi comportamenti che ci rendono infelici.
E’ importante sottolineare che se le nostre azioni precedenti condizionano il nostro presente, questo non significa che la nostra vita è già segnata e immodificabile, ma, al contrario, producendo un ‘buon’ karma nel presente possiamo modificare la nostra condizione futura.
La Via attraverso cui raggiungere questa dimensione non è necessariamente una tecnica di meditazione o la ricerca di un rituale più sofisticato o più elevato, ma è l’acquisizione di un punto centrale e profondo del nostro essere dal quale la visione del divino corrisponde a quell’armonia interiore che si manifesta nell’amore e nell’accettazione di tutto ciò che è presente. Sarà quindi questo amore che, manifestandosi nella nostra vita, produrrà karma positivo, quindi un ulteriore passo verso la liberazione. 

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