giovedì 12 novembre 2009

Popper (2)

In “Il criterio della rilevanza scientifica” Karl Popper scrive: <<...fu nell’estate del 1919 che incominciai a sentirmi sempre meno soddisfatto di tali teorie: la teoria marxista della storia, la psicanalisi e la psicologia individuale, diventando dubbioso circa le loro pretese di scientificità. Il mio problema dapprima si configurò nella semplice forma: ”Che cosa non va nel marxismo,nella psicanalisi e nella psicologia individuale? Perché queste dottrine sono così diverse tra loroe dalle teorie fisiche e newtoniane e soprattutto dalla teoria della relatività e dal principio di indeterminazione di Heinsenberg?. Meditando sulla questione mi accorsi che i miei amici simpatizzanti di Marx, Freud e Adler erano impressionati dal loro apparente potere di spiegazione. Esse, infatti, sembravano capaci di spiegare praticamente ogni cosa che accadesse in qualunque campo. Studiandone una delle tre, pareva di attingere una conversione o rivelazione intellettuale, tale da dischiudere alla vista una nuova verità, preclusa agli occhi dei non iniziati (questo ovviamente succedeva anche con le altre due…). Dopo essere stati così illuminati, si riuscivano a cogliere delle conferme ovunque: il mondo era pieno di verifiche della teoria… La sua verità appariva perciò manifesta, e quanti non vi credevano risultavano chiaramente persone che non volevano vedere, che si rifiutavano di vedere, o perché contrastava con i loro interessi di classe, o a causa delle loro inibizioni, tuttora non analizzate e reclamanti un trattamento clinico.

Di conseguenza l’elemento più caratteristico di questa situazione mi sembrò essere l’incessante flusso di conferme, di osservazioni atte a verificare le teorie considerate. Un marxista, per esempio, non poteva aprire un giornale senza trovarvi in ogni pagina delle prove a sostegno della propria interpretazione; e questo non solo nelle notizie, ma anche nella presentazione, rilevante i pregiudizi classisti del giornale, e soprattutto, ovviamente, in quello che esso non diceva.

Gli analisti freudiani sostenevano che le loro teorie erano costantemente verificate dalle osservazioni cliniche.

In quanto ad Adler, restai molto colpito da un’esperienza personale: una volta gli riferii di un caso che non mi pareva particolarmente adleriano, ma egli senza alcuna difficoltà lo analizzò in termini della sua teoria dei complessi di inferiorità, pur non avendo neppur visto il bambino.

Un po’ sconcertato gli chiesi come potesse essere così sicuro: ”A causa della mia esperienza di mille casi”, egli rispose; al che io non potei evitare di aggiungere: ”esperienza che ora è divenuta

di mille casi e uno!”>>.

E’ facile reperire delle conferme, o verifiche, di qualsiasi teoria, se si cercano appunto delle conferme!

Nella Storia abbiamo avuto grandi pensatori (come Pascal, Sant’Agostino, ecc.) che hanno visto, senza dubbio alcuno, l’evidente esistenza di Dio semplicemente osservando la realtà, e hanno scritto trattati e libri interi per spiegare le loro teorie; ma abbiamo avuto anche pensatori (la più

parte, per la verità...) che osservando lo stesso mondo dei primi hanno visto con altrettanta evidenza

la non esistenza di Dio, e ne hanno fatto dimostrazioni nei loro scritti. Leggendo i libri degli uni come degli altri, ci si accorge che le loro argomentazioni sono veramente convincenti ed inconfutabili, e che le prove portate a dimostrare l’una come l’altra ipotesi sembrano irrefutabili:

a chi credere dunque? Semplice, si crederà a quel pensatore che nell’esporre la sua teoria ha utilizzato il metodo di lettura della realtà che corrisponde a quello insegnatoci nell’infanzia!

In pratica addurremo a posteriori le cause dei fatti che corrispondono già al nostro modo di vedere il mondo!

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